Grandi dimissioni e nomadismo digitale, perchè aumentano in Italia? 

Il mondo del lavoro non è più a misura di italiani. Lo rivela un recente studio condotto dall’Unicusano, che evidenzia come nell’ultimo anno ben il 90% degli italiani ha manifestato una profonda insoddisfazione per il proprio lavoro. Tanto che il 43% degli intervistati ha preso la decisione di abbandonarlo. Sorprendentemente, per il 97% di quanti hanno fatto questa scelta, non esisteva un “piano B”. La tendenza ha riguardato soprattutto le donne e i giovani sotto i 27 anni. Ben il 77% ha preferito rinunciare a contratti e carriere professionali a favore di una maggiore libertà personale.
Un altro dato allarmante emerso dallo studio dell’Unicusano riguarda il benessere psicoprofessionale dei lavoratori. Su 25 milioni di occupati nel 2022, in base ai dati Istat, solo l’11% è riuscito a raggiungere un equilibrio psicoprofessionale ideale. Si tratta di meno di tre milioni di persone.

Il principale accusato? Il burnout

Il principale fattore che ha gravato sulle spalle dei lavoratori, costringendoli a ripetute assenze, è stato il burnout, uno stato di esaurimento nervoso a livello fisico, mentale ed emotivo causato da diversi fattori legati al lavoro. Questo malessere ha colpito quasi il 50% degli italiani. Il fenomeno della “Great Resignation,” come è stato chiamato in America dopo la fine della pandemia, ha raggiunto anche l’Italia. Unicusano ha identificato diverse motivazioni alla base di questa tendenza, che vanno dall’insoddisfazione personale alla ricerca di condizioni economiche migliori, dalla desiderata flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro alla rottura dei rapporti interpersonali con i colleghi. In particolare, gli italiani stanno cercando un nuovo equilibrio tra vita privata e professionale, che oggi appare sbilanciato verso quest’ultima, a causa di una società che sembra essere diventata “iper-competitiva, iper-veloce e iper-digitalizzata”.

Quiet quitting e job creeper

In Italia, sono emersi anche altri fenomeni preoccupanti, come il “quiet quitting,” in cui oltre due milioni di lavoratori si limitano a svolgere il minimo indispensabile, non sentendosi valorizzati né emotivamente coinvolti nel loro lavoro. C’è anche il “job creeper,” che colpisce il 6% delle persone, le quali sono sopraffatte dal peso del lavoro fino al punto di fondere insieme sfera lavorativa e privata. A alimentare il fenomeno delle “Grandi Dimissioni” sono soprattutto i giovani tra i 24 e i 35 anni, noti come “flow generation.” 

I nomadi digitali

Questi giovani hanno un futuro incerto, sono lontani dal concetto di lavoro a tempo indeterminato e si dedicano a nuove professioni, con un’identità che muta in base alle sfide del futuro digitalizzato. Nati dalla crisi del 2008 e da un’economia basata sul consumo eccessivo, hanno abbracciato il nomadismo digitale come forma di espressione. Al giorno d’oggi, sono 35 milioni in tutto il mondo, con un valore economico di 787 miliardi di dollari. La pandemia ha tolto tempo, ma ha anche regalato tempo, e i nuovi nomadi digitali lo sanno bene. Questi individui hanno lottato negli ultimi tre anni per ottenere spazio e tempo per la loro vita, passioni, talenti, aspirazioni e affetti. Lavorano da remoto, ovunque nel mondo, e lo fanno con entusiasmo nell’85% dei casi. Rappresentano una risposta alla precarietà auto-imposta e una sfida che i reparti HR devono raccogliere per permettere a tutti di crescere, mettendo in primo piano ciò che davvero conta: le persone.

Pubblicato
Categorie: Economy

Assegno Unico: cosa succede se non si presenta l’ISEE?

L’Assegno Universale Unico (AUU) è il contributo economico fornito dall’INPS a tutte le famiglie con figli a carico che riunisce e sostituisce i bonus di maternità e i bonus regionali precedentemente esistenti. Ma se per presentare la richiesta dell’Assegno Unico 2023 è necessario fornire in anticipo l’ISEE, è comunque possibile richiederlo anche in assenza dell’Indicatore della situazione economica e sociale. In tal caso l’importo sarà quello minimo, ovvero 50 euro mensili per ogni figlio minore a carico presente all’interno del nucleo familiare. L’assegno unico per i figli, in quanto di portata universale, è quindi riconosciuto anche a coloro che non dispongono di una dichiarazione ISEE, o che scelgono di non presentarla. 

Per chi non lo presenta l’importo è pari a un ISEE superiore a 40.000 euro

Nel caso l’ISEE non venga presentato, si avrà quindi sempre diritto all’Assegno, ma sarà pari all’importo dovuto relativamente a un ISEE superiore a 40.000 euro. Viceversa, chi ha un ISEE inferiore a 15.000 euro avrà diritto alla agevolazione più alta per ciascun figlio. Alcuni mesi fa, però, il Ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità ha dichiarato durante la presentazione della legge di Bilancio l’intenzione di rivedere il ‘fattore ISEE’ per determinare gli importi degli assegni unici e universali, legandoli al nuovo quoziente familiare.

Tutti gli aumenti in vigore dal 1° gennaio 2023

La legge di bilancio approvata nello scorso dicembre 2022, in vigore dal 1° gennaio 2023, ha introdotto alcune novità per l’Assegno Unico e Universale. Anzitutto, un aumento del 50% dell’assegno unico per le famiglie con figli di meno di un anno, un aumento del 50% dell’assegno unico per i figli con un’età compresa tra 1 e 3 anni, per nuclei familiari con almeno 3 figli e con ISEE fino a 40.000 euro. Inoltre, un aumento del 50% dell’assegno per le famiglie con 4 o più figli. La legge ha inoltre confermato gli aumenti già stati previsti nel 2022 per i figli disabili sopra i 18 anni senza che vi sia limite d’età.

L’assegno viene versato direttamente sul conto corrente del richiedente

In ogni caso, il processo di invio telematico AUU 2023 è attivo dal 1° marzo. L’assegno sarà versato direttamente sul conto corrente intestato al richiedente, come indicato durante la domanda. Il contributo viene elargito mensilmente e verrà accreditato entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, seguito da un versamento mensile regolare. Nel caso di ritardi nel pagamento, eventuali somme arretrate saranno pagate in un’unica soluzione durante la prima mensilità disponibile.
Ma è necessario modificare la domanda di Assegno Unico già presentata per aggiornare il proprio ISEE? La risposta è negativa. È sufficiente compilare un modulo sul sito dell’INPS, o recarsi presso le sedi territoriali dell’INPS o un CAF convenzionato con l’INPS per ricevere assistenza gratuita.

Pubblicato
Categorie: Economy

L’e-commerce aiuta le imprese e combatte l’inflazione

Grazie all’adozione del canale digitale le imprese italiane che vendono online registrano un incremento medio di fatturato (+8,8%), marginalità (+8,1%) ed export (+8,1%). Sono alcuni dati emersi dallo studio realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Amazon Italia.
“I maggiori benefici si riscontrano per le Pmi, con una quota maggiore di piccole e medie imprese che riporta un aumento del fatturato (+9,3%), della marginalità (+64%) e dell’export (+3%) rispetto alle grandi imprese”, commenta Lorenzo Tavazzi, Partner e Responsabile Area Scenari e Intelligence The European House – Ambrosetti.
Di fatto, se in Italia il commercio elettronico vale 48 miliardi di euro di transato, 71 miliardi di euro di fatturato, e conta 380mila occupati, l’e-commerce rappresenta anche, e soprattutto, una leva strategica di sviluppo per le imprese.

Per 7 imprese su 10 aumenta la brand awareness

“Chi vende online riconosce, inoltre, benefici anche sul canale fisico, riscontrando in particolare un aumento di brand awareness (7 imprese su 10), un’innovazione dell’offerta basata su esperienza multicanale e un miglioramento del servizio di post-vendita (6 su 10), oltre a un ampliamento della base di clientela nazionale ed estera (6 su 10)”, aggiunge Tavazzi.
Se tali effetti di sviluppo fossero applicati a tutte le imprese italiane il cui business è suscettibile di essere integrato con il canale digitale, potremmo avere un effetto volano per il sistema Paese di oltre 110 miliardi di euro (+6% del Pil al 2022). Rilevanti anche gli effetti pro-competitivi dell’e-commerce: per 7 imprese su 10 i canali di vendita online e offline sono complementari, con valori più elevati tra le Pmi (+10,3% rispetto la media delle altre imprese), determinando benefici in termini di brand awareness e miglioramento del servizio di post-vendita.

Export digitale: per 6 imprese su 10 incrementa la base clienti

Un ulteriore elemento di sviluppo è l’export digitale. Le imprese dichiarano un aumento delle esportazioni grazie all’adozione del canale online superiore all’8%, con 6 imprese su 10 che riportano anche un aumento della base clienti nazionale ed estera. Ma il commercio elettronico contribuisce anche al contenimento del carovita e al miglioramento dell’offerta retail. In un contesto in cui l’incremento dei prezzi è il problema maggiormente sentito dai cittadini, nell’ultimo anno l’e-commerce ha infatti permesso a 6 italiani su 10 di aumentare o mantenere invariato il proprio potere di acquisto.

Online i prezzi sono più stabili  

Il modello econometrico e statistico elaborato da The European House – Ambrosetti, confermato dal confronto con i dati Istat, mostra che in Italia i prezzi dei beni acquistati online si sono dimostrati più stabili del livello generale dei prezzi, con un effetto trascinamento sulla crescita dei prezzi generali.
Se non ci fosse stato l’effetto della diffusione dell’e-commerce negli ultimi 6 anni l’inflazione sarebbe stata in media il 5% più alta. Inoltre, al crescere del commercio online, anche i consumi crescono significativamente. Per ogni punto percentuale in più di diffusione dell’e-commere, i consumi in Italia aumentano di 845 milioni di euro.

Pubblicato
Categorie: Economy

L’amicizia secondo gli italiani: un valore ancora fondamentale?

Gli italiani si dichiarano soddisfatti della propria rete di amici, di cui la caratteristica più ricercata è l’affidabilità. Ma l’amicizia è ancora ritenuta un valore fondamentale? E quanto sono soddisfatti gli italiani delle proprie amicizie, cosa ricercano in un amico o in un’amica, e che valore attribuiscono all’amicizia? L’ultimo sondaggio Ipsos, condotto in occasione della Giornata Mondiale dell’Amicizia 2023, rileva che più di tre intervistati su quattro (77%) danno un voto almeno sufficiente alla propria rete di amici e conoscenti, mentre per il 38% il voto è pari 8 o superiore.

L’affidabilità è al primo posto

Le relazioni, amicali, affettive o di altro genere, sono l’architrave del vivere sociale, e gli italiani se ne dichiarano soddisfatti. Al contempo, però, meno della metà degli intervistati percepisce l’amicizia come un valore davvero fondamentale per la propria felicità.  In secondo luogo, il sondaggio Ipsos ha indagato quali sono le principali caratteristiche che si cercano maggiormente in un amico o in un’amica. Ed è emerso che negli amici si cerca soprattutto affidabilità, ma anche leggerezza, simpatia, semplicità, allegria. Stimoli intellettuali o esperienze da condividere vengono in secondo piano.

Una fiducia condizionata

In particolare, dal sondaggio emerge come sette intervistati su dieci dichiarano di fidarsi dei loro amici, ma soltanto il 20% sostiene di poterlo fare ‘ciecamente’. Il restante 50% si fida abbastanza e fa affidamento sugli amici il più delle volte, ma non sempre. Questa fiducia ‘condizionata’ è il risultato delle delusioni della vita? Non possiamo saperlo, anche se quasi tre persone intervistate su dieci dichiarano di aver dato agli amici più di quanto abbiano ricevuto da questi. Una tendenza più forte tra le donne, e che non a caso si collega a un livello di soddisfazione mediamente più basso e a un livello di fiducia dichiarato anch’esso inferiore.

I parenti sono più importanti degli amici?

In ultima analisi, meno della metà degli italiani (44%) considera l’avere amici su cui poter contare e con cui star bene insieme un aspetto fondamentale per la propria felicità. Per il 38% le amicizie sono ‘abbastanza’ importanti, ma non fondamentali, e per il 18% sono addirittura ‘poco’ importanti.
Quest’ultima tendenza cresce con l’avanzare dell’età. I rispondenti più adulti sono anche quelli che danno più peso alle relazioni con i parenti, rispetto a quelle con gli amici. Tanto che in merito al viaggio ideale, per la maggioranza è con la famiglia, solo un quarto indica gli amici e uno su dieci preferisce viaggiare da solo. Unica eccezione i giovani della GenZ, che mettono gli amici al primo posto nella classifica dei compagni di viaggio preferiti.

Italiani preoccupati per inflazione e aumento dei prezzi

L’inflazione continua a essere una delle principali preoccupazioni sia a livello globale sia in Italia. Secondo l’indagine “What Worries the World”, l’inflazione è il principale motivo di ansia in tutto il mondo per il 15° mese consecutivo, menzionata dal 40% degli intervistati. In Italia, il 30% del campione è preoccupato per l’inflazione e l’aumento dei prezzi, mentre percentuali simili temono la povertà e le disuguaglianze sociali (29%) e il cambiamento climatico (28%). Tuttavia, la principale preoccupazione in Italia è rappresentata dalla disoccupazione, citata dal 38% degli italiani.

Aumenta il pessimismo riguardo la condizione economica

Nel giugno del 2023, l’Osservatorio sull’Inflazione registra una crescita del pessimismo tra gli italiani riguardo alla propria condizione economica. Le spese energetiche hanno distolto risorse da altri tipi di acquisti, e gli aumenti dei prezzi stanno incidendo su quei consumi considerati “comprimibili”. Gli italiani non rinunciano completamente agli acquisti, ma piuttosto cercano di scendere a compromessi rispetto alle loro abitudini d’acquisto. Insomma, i nostri connazionali si stanno ingegnando a trovare soluzioni alternative per continuare a condurre la propria vita senza troppe privazioni.

Strategie di risparmio

Per mantenere inalterate le proprie scelte di consumo, i consumatori cercano principalmente promozioni e offerte, modificano i luoghi di acquisto e fanno scorta di prodotti. Le strategie adottate dai consumatori variano a seconda delle categorie di prodotto, quindi è essenziale per le aziende comprendere e monitorare queste dinamiche specifiche. Un aspetto rilevante è l’emergere dell’idea che gli aumenti dei prezzi possano essere speculativi, sia da parte delle aziende produttrici e fornitori di materie prime, sia da parte dei distributori. Questa percezione solleva interrogativi riguardo alle dinamiche di mercato e alle politiche dei prezzi adottate da diverse entità nel sistema economico.

Un pizzico di ottimismo

Nonostante le preoccupazioni riguardo all’inflazione, gli italiani mostrano un leggero ottimismo per il futuro. Si aspettano una stabilizzazione generale dei prezzi, ma temono aumenti per alcune categorie di prodotto specifiche, come carburanti e utenze. In sintesi, l’inflazione continua a essere una questione di grande rilievo per i cittadini sia in Italia che a livello internazionale. Gli italiani cercano di affrontare gli aumenti dei prezzi scendendo a compromessi e adottando strategie di consumo più oculate, ma rimane la preoccupazione riguardo a potenziali speculazioni da parte di alcuni attori del mercato.

Pubblicato
Categorie: Economy

L’e-commerce combatte inflazione e caro vita

La pressione inflattiva nel 2022 è arrivata a sfiorare il 12%, riducendo il reddito disponibile soprattutto delle famiglie meno abbienti, per una crescita della povertà assoluta pari a più 300mila famiglie rispetto al 2021.Non sorprende che l’inflazione rappresenti il problema più sentito per la maggioranza degli italiani: per quasi il 90% dei cittadini il proprio potere d’acquisto nell’ultimo anno si è ridotto.
La ricerca condotta da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Amazon, mostra però il ruolo positivo svolto dall’e-commerce in questo contesto. Secondo gli intervistati l’e-commerce ha facilitato l’accesso a prezzi bassi e a una maggiore reperibilità, ampiezza e varietà dell’offerta.
In un momento in cui l’inflazione è in cima all’agenda politica ed economica, rappresentando una grande preoccupazione per molte famiglie italiane, la ricerca analizza l’impatto dell’e-commerce sul potere d’acquisto degli italiani, e più in generale, sulle imprese.

Più consumi e ricchezza grazie al commercio elettronico

La percezione degli italiani è stata confermata anche dai risultati dell’analisi economico-statistica realizzata da Ambrosetti con il supporto di Istat.
In Italia i prezzi online si sono dimostrati più stabili anche in periodi caratterizzati da alta inflazione, sostenendo quasi 40 miliardi di euro di consumi negli ultimi 3 anni. Inoltre, il modello econometrico di Ambrosetti ha dimostrato statisticamente che in Italia un aumento di un punto percentuale della diffusione dell’e-commerce riduce l’inflazione (-0,02 punti) e aumenta i consumi (+845 milioni di euro). Senza l’effetto della diffusione dell’e-commerce negli ultimi 6 anni l’inflazione sarebbe stata in media il 5% più alta. E la diffusione del commercio elettronico ha reso disponibile circa 1 miliardo di euro di ricchezza per le famiglie italiane tra il 2020 e il 2022.

Il ruolo socio-economico delle piattaforme online

I risultati della ricerca confermano quindi il ruolo socio-economico dell’e-commerce nel nostro Paese.
In particolare di Amazon, che offre un’esperienza di acquisto conveniente grazie a prezzi bassi, ampia selezione, consegne veloci, contribuendo al tempo stesso alla crescita delle imprese e dell’economia in generale. Nell’ultimo anno sono state incrementate le iniziative promozionali per i clienti Prime e quelli non Prime, offrendo occasioni di risparmio lungo tutto il corso dell’anno. È stata poi ampliata la selezione dei prodotti disponibili con consegne veloci e senza costi aggiuntivi. Ed è stata intensificata la comunicazione delle diverse opzioni per spendere meno, creando una pagina dedicata sul sito amazon.it dei 7 modi per risparmiare.

Anche un impulso al Made in Italy

Tra le iniziative di Amazon rientrano i Made in Italy Days, che hanno permesso ai clienti Amazon nel mondo di acquistare più di 18.000 offerte su prodotti originali Made in Italy. Un impulso all’internazionalizzazione delle aziende italiane che ha fatto registrare vendite dall’estero per oltre il 50%. Ma Amazon continua a investire anche per far sì che la piattaforma sia un luogo in cui i clienti possano continuare a fare acquisti con fiducia. Solo nel 2022 sono stati investiti globalmente oltre 1,2 miliardi di dollari, dedicando 15.000 persone all’attività di protezione dei clienti, dei partner e dello store.

Pubblicato
Categorie: Economy

L’Intelligenza artificiale non è immune dagli attacchi informatici

I sistemi basati sull’Intelligenza artificiale sono immuni dagli attacchi informatici? Pare di no. Le tecniche e gli obiettivi dei cyber criminali sono in costante progresso e spesso sfruttano l’attualità o i temi emergenti nel dibattito pubblico, come l’Intelligenza artificiale.
“Si potrebbero raggruppare gli attacchi all’AI in due macrocategorie – spiega all’Ansa Pierluigi Paganini, ceo di Cyberhorus e professore di Cybersecurity presso l’Università Luiss Guido Carli -. Cioè gli attacchi contro i sistemi e gli attacchi ai modelli di Intelligenza artificiale”.
Ad esempio, con l’aumento di popolarità del software di Intelligenza artificiale ChatGpt è stata osservata la creazione di nuovi virus e minacce informatiche, così come la creazione di e-mail che distribuiscono phishing.

Manipolazione dei dati di addestramento o modifica dei parametri del modello

“Alla prima categoria – continua Paganini – appartengono gli attacchi all’infrastruttura su cui si basa un sistema di AI, ad esempio, alle reti o ai server che lo ospitano, alle comunicazioni tra le componenti e l’accesso non autorizzato ai dati ed al modello stesso. Gli attacchi appartenenti alla seconda categoria prendono di mira specificamente il modello di AI utilizzato dal sistema. Un esempio è la manipolazione dei dati di addestramento o la modifica dei parametri del modello. In un attacco basato sulla manipolazione dei dati l’attaccante modifica o manipola i data set utilizzati per l’addestramento o l’alimentazione di un modello di Intelligenza artificiale con l’intento di interferire con il suo comportamento”.

Fornire ai sistemi dati studiati per influenzarne il comportamento

“Immaginiamo, ad esempio, di addestrare un sistema per il riconoscimento di un attacco informatico – osserva Paganini -: qualora un attaccante riuscisse a fornire false informazioni sugli attacchi nel set di addestramento potrebbe portare il modello a non riconoscere correttamente un attacco quando questo si verifica. In realtà i modelli possono essere attaccati non solo in fase di addestramento, ma anche in fase di esercizio, ovvero fornendo ai sistemi basati sull’AI dati studiati per influenzarne il comportamento e indurre il sistema a prendere decisioni errate”.

Eludere le limitazioni imposte per l’iterazione con gli umani

“Un’altra tecnica di attacco ai dati, nota come attacco di inferenza, consiste nel tentativo di ottenere informazioni sensibili dal modello di AI mediante una serie di interrogazioni ad hoc – puntualizza il ceo -. Questi attacchi potrebbero essere sfruttati per eludere le limitazioni imposte al modello nell’iterazione con gli umani. Una ulteriore tecnica di attacco potrebbe avere come obiettivo quello di ‘avvelenare’ il modello di Intelligenza artificiale usato da un sistema. Può essere condotto in diverse fasi del processo di addestramento, dalla raccolta dei dati all’addestramento stesso. Talvolta si parla anche di ‘modifica dei pesi del modello’, ovvero della capacità di un attaccante di modificare direttamente i pesi del modello durante la fase di addestramento”.

Pubblicato
Categorie: Web

Lavoro: sempre meno occupati giovani. In dieci anni -7,6% 

Come esito della radicale transizione demografica, si stima che nel 2040 le forze lavoro saranno diminuite dell’1,6%. Ma intanto nei primi nove mesi del 2022 ogni giorno in media 8.500 italiani si sono dimessi, +30,1% rispetto allo stesso periodo del 2019, e ogni giorno, in media, 49.500 italiani hanno iniziato un nuovo lavoro (+6,2%). Inoltre, nel decennio 2012-2022 gli occupati 15-34enni sono diminuiti del 7,6%, quelli con 35-49 anni del 14,8%, mentre i 50-64enni sono aumentati del 40,8% e gli over 65 del 68,9%. Insomma, i lavoratori invecchiano, ma quelli giovani in Italia sono diventati una rarità. Emerge dal 6° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon e il contributo di Credem, Edison e Michelin.

La precarietà è giovane e donna 

La ricerca di un’occupazione migliore per i giovani significa meno precaria ed è la bussola che orienta decisioni e comportamenti.
La fascia della precarietà è infatti ancora ampia: complessivamente, il 21,3% dei lavoratori italiani è occupato con forme contrattuali non standard, e la percentuale oscilla dal 27,9% delle lavoratrici (16,5% uomini) al 39,3% dei lavoratori 15-34enni.
Tra gli occupati giovani, la percentuale dei contratti non standard raggiunge il 46,3% tra le femmine (34,2% maschi). Il part-time involontario, con meno ore lavorate e quindi retribuzioni più basse, coinvolge il 10,3% dei lavoratori italiani: 16,7% delle donne (5,7% uomini) e 13,9% dei 15-34enni. Tra gli occupati giovani, la percentuale del part-time involontario raggiunge il 20,9% tra le femmine (9,0% maschi). 

Difficoltà di carriera e retribuzioni insoddisfacenti

Se potesse, il 46,7% degli occupati italiani lascerebbe l’attuale lavoro: il 50,4% dei giovani, il 45,8% degli adulti, il 58,6% degli operai, il 41,6% degli impiegati e solo il 26,9% dei dirigenti.
Anche perché il 64,4% degli occupati dichiara di lavorare solo per ricavare i soldi necessari per vivere, in particolare, questo vale per il 69,7% dei giovani e per il 75,6% degli operai.
Quali sono le ragioni dell’inquietudine nel rapporto con il proprio lavoro? Difficoltà di carriera (65,0%), retribuzioni insoddisfacenti (44,2%, giovani 53,0%), e paura di perdere il posto di lavoro (42,6%). Si tratta di una precarietà attuale e concreta, più tangibile di quella preconizzata dagli annunciati rivolgimenti legati all’innovazione tecnologica.

Meglio da remoto, ma alternando la presenza in ufficio

Lavora da remoto il 12,2% degli occupati (4,9% 2019). Il lavoro da casa piace perché consente una migliore conciliazione tra vita privata e lavoro (81,3%), riduce lo stress legato al lavoro in presenza (74,8%), permette di lavorare in contesti migliori (74,1%,), migliora la qualità della vita (70,4%).
Ma il giudizio sullo smartworking è positivo solo se viene alternato con giorni di lavoro in presenza (72,4%), perché non è vero che da remoto si lavora meno (71,8%), e si rischia di perdere il senso di appartenenza aziendale (54,4%). In merito al welfare aziendale, se le integrazioni del reddito sono largamente apprezzate, i lavoratori si attendono anche il supporto al raggiungimento di una più alta qualità della vita.

Pubblicato
Categorie: Economy

Italiani aperti alle esperienze immersive del Metaverso 

Il 92% degli italiani sa cosa sia il Metaverso, il 77% è in grado di descriverlo, e più della metà è in grado di definirlo come un mondo virtuale in cui le dinamiche di interrelazione consentono di performare diverse attività. E sono i Millennials, non i giovanissimi, ad approfondire e conoscere maggiormente le tematiche legate a Metaverso e realtà immersive, come criptovalute, avatar, NFT, Extended reality (AR, VR) e AI. In generale, nei confronti del Metaverso gli italiani mostrano attitudini di apertura, piuttosto che di scetticismo. L’Osservatorio Metaverso, promosso da Ipsos e Vincenzo Cosenza, evidenzia infatti che il 52% ritiene che le esperienze nel Metaverso possano essere emozionanti, e concepisce le realtà immersive come un modo di migliorare le attività online, non come un’alternativa alla realtà fisica.

Un modo per migliorare le attività online

La sperimentazione nelle attività fatte nel Metaverso per ora è piuttosto diversificata. Il 32% ha svolto più di cinque attività (giocare, trascorrere tempo con amici, acquistare oggetti reali, esplorare città), e i mondi virtuali più visitati sono Fortnite e Minecraft. Come ogni nuova innovazione tecnologica si accompagna a un po’ di ansia verso la privacy (38%) e si teme la confusione tra realtà fisica e virtuale (40%). L’atteggiamento generale è concepire il Metaverso come un modo per migliorare attività quali come gaming (48%), film e concerti (45%) educazione e apprendimento (41%) e shopping (40%).
Tuttavia, il 37% ritiene il Metaverso ancora troppo costoso (44% GenZ), e solo il 10% possiede visori per le realtà immersive.

Come costruire valore per i Brand?

In merito alle prospettive dei Brand si riscontra poca memorabilità rispetto alle attività intraprese: il 60% non riesce a citare spontaneamente una marca che abbia usato il Metaverso, a parte Google, Meta, FB, o Microsoft. Rispetto alle diverse categorie di Brand in media le opinioni oscillano tra ‘sfrutta le opportunità per guadagnare di più’ e ‘vuole abbracciare le nuove tendenze digitali’, che lasciano trasparire un cortocircuito tra propensione e conversione per i Brand. 
In pratica, finora le possibilità del Metaverso non sembrano essersi ancora convertite in valore per i Brand. Questo perché i Brand hanno lavorato su aspetti più ‘tattici’ rispetto a puntare su elementi che rispondano ai bisogni delle persone.

Le Metapersonas

Lo studio evidenzia quattro Metapersonas differenziate per livelli di adozione e coinvolgimento.
Se per i Pionieri (37%) il Metaverso è una nuova frontiera in cui sentirsi perfettamente a proprio agio, senza paura di confusione tra virtuale e reale, mentre ai Distanti e Impauriti (30%) non interessa. Lo ritengono troppo costoso, non si sentono parte di questa realtà virtuale e la vedono addirittura come una minaccia per l’identità e l’integrità personale.
Gli Immersi (20%), caratterizzati da un atteggiamento entusiasta e positivo, lo considerano come un altro mondo, dove possono esprimersi liberamente dando il meglio di sé e delle proprie capacità. E per i Funzionali (13%), molto attenti a efficienza e praticità, è principalmente uno strumento per svolgere attività utili nella vita quotidiana.

Pubblicato
Categorie: Digitale

Settimana di quattro giorni, gli italiani super favorevoli 

I dipendenti italiani stanno guidando la spinta globale verso una settimana lavorativa di quattro giorni. Ma, mentre cresce il desiderio di mantenere una certa flessibilità, non si vuole nemmeno limitare le possibili prospettive di carriera. Un nuovo studio condotto da Unispace, azienda specializzata nella progettazione degli ambienti professionali, ha identificato le nuove tendenze in merito.  

In Italia è un vero e proprio “sogno”

Secondo il rapporto intitolato “Returning for Good – Tendenze globali del luogo di lavoro” di Unispace, che ha combinato i risultati di un sondaggio condotto su 9.500 dipendenti e 6.650 datori di lavoro in 17 paesi, la settimana lavorativa di quattro giorni è più desiderata in Italia rispetto a qualsiasi altro paese. Quasi due terzi (62%) degli impiegati del Belpaese sarebbero disposti ad andare in ufficio ogni giorno se venisse adottata questa modalità di lavoro. Anche il 43% dei datori di lavoro sarebbe favorevole ad accogliere questo cambiamento se i dipendenti si presentassero in ufficio tutti i giorni.

Il lavoro ibrido può limitare le opportunità di carriera?

Lo studio ha rilevato che questa opinione è influenzata dalla preoccupazione che il lavoro ibrido possa limitare le opportunità di carriera. Quasi tre quarti (71%) dei dipendenti ritiene che le possibilità di promozione, gli aumenti salariali e i bonus siano più “difficili” per chi non lavora in presenza. L’opinione è condivisa anche dal 79% delle aziende. Inoltre, il rapporto indica che due quinti della forza lavoro italiana attualmente operano in spazi condivisi (“hot-desking”). Tuttavia, l’84% di loro sarebbe più incline ad aumentare il tempo trascorso in ufficio se avesse una postazione di lavoro assegnata. Questo potrebbe essere un problema per i datori di lavoro, poiché negli ultimi due anni le aziende italiane hanno ridotto la metratura degli uffici del 36%, rispetto alla media mondiale del 10%. Ciò potrebbe essere dovuto alla continua lotta tra i dipendenti e le aziende per trovare un equilibrio tra lavoro in presenza e lavoro da remoto.

Un equilibrio da trovare

Nonostante i professionisti italiani trascorrano più tempo in ufficio rispetto alla media mondiale (60% rispetto al 50% a livello globale), un quarto degli intervistati ha dichiarato di non apprezzare la mancanza di uno spazio privato. Poco più della metà (51%) ha affermato di non riuscire a svolgere il proprio lavoro in modo efficace in ufficio a causa delle interruzioni e delle numerose riunioni.
Questo suggerisce che i dipendenti stiano cercando di trovare un equilibrio tra la vita lavorativa e quella personale. Tuttavia, se i problemi relativi all’ambiente di lavoro non vengono affrontati, è probabile che la richiesta di un modello di lavoro ibrido continuerà a esistere anche in futuro.