Quali sono i trend del 2024 per l’e-commerce? 

In vista del 2024 le aziende sono orientate ai prossimi obiettivi di crescita, e le strategie per fidelizzare la clientela ed espandere il raggio d’azione commerciale si accompagnano a una predisposizione accurata dei canali online.
Per essere pronti a cogliere tutte le opportunità dell’e-commerce Calicantus offre una panoramica sui maggiori trend italiani e internazionali dell’anno che sta per iniziare. Il primo, è la consegna in 24h, cruciale per mantenere un alto vantaggio competitivo. Il secondo, essere presenti all’interno di Marketplace con schede prodotti ricche di immagini e dettagli, per sfruttare in modo efficiente il potenziale di mercati online.

Ma nell’arco dei prossimi mesi ci si aspetta anche un significativo aumento del Social Commerce, con nuove opportunità per coinvolgere e incrementare la base clienti.

Intelligenza artificiale generativa e Realtà aumentata

AI e apprendimento automatico, poi, stanno trasformando radicalmente l’e-commerce. Il potenziale della Realtà Aumentata poi è immenso, e nel 2024 le aziende che la incorporeranno nelle strategie di e-commerce otterranno un vantaggio competitivo significativo.
Mediante l’AI generativa, poi, la funzionalità legata alle Ricerche Vocali sarà decisamente potenziata per rendere la Customer Experience più coinvolgente e con un approccio conversazionale.
Ma quando l’e-commerce ha volumi di vendita importanti, diventa fondamentale implementare un Sistema di Gestione degli Ordini (OMS), in grado di orchestrare tutte le fasi secondo una customer experience eccellente.

Puntare su servizi in abbonamento e transazioni B2B

Non sono da meno i servizi in abbonamento, tendenza destinata a proseguire anche nel 2024. Per un lancio di successo, è cruciale implementare un sistema di gestione abbonamenti user-friendly, perché adottando i servizi in abbonamento si aprono opportunità per coltivare relazioni durature con i clienti e generare entrate ricorrenti.
Anche le transazioni B2B si sposteranno sempre più online, rendendo necessario un cambiamento nel modo in cui le aziende interagiscono con i Buyer.

Secondo Wunderman Thompson, il 90% degli utenti si aspetta un’esperienza d’acquisto simile al B2C anche nell’ambito B2B.
GenZ e Millennial stanno assumendo ruoli di responsabilità decisionali per gli acquisti B2B, e preferiscono ricercare e comprare prodotti online, spesso eludendo le tradizionali interazioni di vendita.

Tutti i plus dell’Advertising

L’Advertising resta un’attività fondamentale per la promozione dell’e-commerce, e nel 2024 vede alcuni sostanziali cambiamenti. Anzitutto, per avere automazioni ottimizzate sono necessari i dati, pertanto i tracciamenti diventano fondamentali.

Ma nel 2024 gli esperti dovranno affrontare normative sulla privacy più severe e il rifiuto dei cookie di terze parti. Di conseguenza, il settore si sta spostando verso la priorità data ai dati proprietari come nuovo standard, nonché l’utilizzo più massiccio delle conversioni avanzate.
Ignorare i social media nelle strategie PPC, poi, limita il raggio d’azione. Occorre quindi scegliere quali piattaforme sono le più adatte ai potenziali acquirenti per inserirli nella strategia aziendale.

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I giovani e la fruizione culturale tra consumi online e offline

Nel 2022 la cultura in Italia ha guadagnato maggiore attrattiva grazie alla flessibilità offerta dalle modalità di fruizione da remoto.
Secondo quanto emerge dalla ricerca dal titolo ‘Fruizione culturale: i giovani tra festival e social media’, realizzata da BVA Doxa per Intesa Sanpaolo, i ragazzi e le ragazze appartenenti alla Gen Z considerano l’approccio online come uno strumento fondamentale per la crescita personale, l’intrattenimento e la comprensione del mondo.

La coesistenza di esperienze online e offline emerge chiaramente dai Focus Group. Se il canale online offre un accesso immediato, un linguaggio affine e una cultura più selettiva, il ‘mondo’ offline richiede più impegno, ma offre un’immersione completa, tangibile, e l’opportunità di stabilire relazioni significative.

I social media sono l’epicentro della fruizione online 

Insomma, i giovani e la cultura rappresentano un connubio che si sviluppa tra online e offline, e disegna un panorama con molte opportunità.

Lo studio rileva, ad esempio, come i social media siano diventati l’epicentro della fruizione online, creando connessioni virtuali che si trasformano in autentiche community durante gli eventi live.
Progetti digitali e content creator diventano quindi punti di riferimento fondamentali per i giovani, grazie alla cura dei contenuti, a un approccio imparziale e un linguaggio accessibile.

Il nuovo paradigma culturale offline pertiene ai Festival

L’analisi sottolinea, poi, come i giovani stiano cercando un nuovo approccio culturale. In questo scenario, per gli appartenenti alla Gen Z i Festival rappresentano la soluzione ideale, poiché assumono il ruolo di nuovi spazi (che possono essere sia aperti sia chiusi) dedicati alla condivisione, alla crescita e allo scambio.

Negli ultimi 3, 5 anni, più del 35% degli italiani ha partecipato a un Festival, con una predominanza dei più giovani rispetto agli over 40.
Siamo di fronte a un autentico cambiamento nel paradigma culturale, destinato ad abbracciare sempre di più le nuove tecnologie per un concetto di quotidianità ancora più connessa.

Per la cultura si apre un nuovo capitolo grazie alla Gen Z

Guardando al futuro, la cultura diventerà sempre più un motore di crescita e un collante sociale, con il Festival destinato a cambiare radicalmente forma. L’ideale sarà un evento itinerante, che coinvolgerà speaker provenienti dal web, presentando brevi interventi in stile ‘Ted Talk’ (‘Ted’ sta per Technology Entertainment Design. Ted Talk è una serie di conferenze), e offrendo laboratori tematici.

Insomma, si sta aprendo un nuovo capitolo, in cui la cultura si evolve con il contributo fondamentale delle nuove generazioni e della loro connessione sinergica tra il mondo online e offline.

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La COP28 Dubai 2023 conferma la paura per il Climate Change

La 28sima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite, conosciuta anche come COP 28, si inserisce nell’ambito della convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change). Quest’anno la COP 28 si tiene a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023.

In un mondo che sta affrontando conseguenze sempre più gravi legate al cambiamento climatico, la COP28 assume un ruolo centrale nel cercare soluzioni e impegni concreti per affrontare la crisi ambientale.
Ma da una ricerca Ipsos condotta in 31 Paesi emergono dati allarmanti. A causa della frequenza e gravità degli eventi meteorologici estremi, il 57% della popolazione mondiale riferisce come la propria area di residenza sia stata colpita dal cambiamento climatico.

L’impatto sulla popolazione

Non stupisce che l’Italia, dopo un anno devastante in termini di danni ambientali dovuti a temperature record e alluvioni, sia tra i Paesi che si dichiarano più colpiti, con due persone su tre personalmente impattate dal cambiamento climatico.

Nei prossimi dieci anni il 71% della popolazione globale prevede un impatto significativo, con un allarmante 88% in Corea del Sud. Tra i Paesi più preoccupati troviamo l’Italia, dove quattro persone su cinque non vedono un orizzonte roseo.
Per i prossimi 25 anni la prospettiva di sfollamento coinvolge il 38% della popolazione globale, con punte al 68% in Turchia e 61% in Brasile.

Preoccupa anche l’informazione carente

La carenza di informazioni adeguate sul cambiamento climatico emerge come una preoccupazione diffusa.
Il 59% degli intervisti globali ritiene che i governi non forniscano informazioni sufficienti, mentre il 61% pensa lo stesso per le aziende. In Italia questi dati salgono al 66%, sia per il governo sia per le aziende.

A livello globale, in media solo il 24% crede che i mezzi di informazione rappresentino accuratamente gli impatti del cambiamento climatico, mentre per il 42% sono addirittura sottovalutati.
L’Italia si distacca, anche se di poco, dalla media globale dimostrandosi più critica verso il servizio svolto dai mezzi di informazione. Il 57% pensa che il sistema informativo sottostimi gli effetti del cambiamento climatico.

Agire si può?

La mancanza di informazioni trasparenti ha alimentato la sfiducia pubblica. La COP28 si svolge in un contesto in cui la fiducia nei confronti delle azioni governative e aziendali per affrontare il cambiamento climatico è bassa.
Infatti, passando in rassegna le azioni concrete messe in campo, a livello globale solo il 36% degli intervistati ritiene che il proprio governo stia lavorando duramente per affrontare le conseguenze del climate change.

In 21 dei 31 Paesi esaminati, tra cui l’Italia, più della metà della popolazione ritiene che il proprio governo non faccia abbastanza per combatterlo.
È evidente, quindi, la richiesta per una leadership politica globale più incisiva e impegnata per raggiungere gli obiettivi climatici stabiliti a livello internazionale.

Come ridurre il consumo di plastica in casa

La plastica è un materiale pratico e resistente, ma notoriamente ha anche un impatto negativo sull’ambiente.

Ogni anno infatti, miliardi di tonnellate di plastica finiscono nelle discariche o negli oceani, causando danni alla fauna selvatica e all’ecosistema.

Ovviamente ci sono molti modi per ridurre il consumo di plastica in casa, per la gioia di chi ha a cuore la salute del pianeta.

Sono infatti sufficienti piccoli cambiamenti nelle nostre abitudini quotidiane per fare la differenza e rispettare veramente l’ambiente.

6 consigli per ridurre il consumo di plastica in casa

1. Elimina le bottiglie d’acqua in plastica

Le bottiglie d’acqua in plastica sono uno dei principali responsabili dell’inquinamento da plastica. Ogni anno, vengono vendute miliardi di bottiglie d’acqua in tutto il mondo, e solo una piccola parte di queste viene riciclata.

Per ridurre il consumo di bottiglie d’acqua in plastica, è possibile:

  • Comprare una borraccia riutilizzabile e portare sempre con sé l’acqua quando si va fuori casa.
  • Installare uno dei moderni purificatori acqua domestica e bere l’acqua del rubinetto.
  • Utilizzare l’acqua del rubinetto anche per cucinare.
  • Acquistare acqua sfusa al distributore e adoperare bottiglie in vetro.

2. Non adoperare le buste di plastica

Le buste di plastica sono un altro prodotto usa e getta che contribuisce non poco all’inquinamento globale legato a questo materiale.

Per ridurre il consumo di buste di plastica, è possibile:

  • Portare sempre con sé una borsa riutilizzabile quando si va a fare la spesa.
  • Riciclare le buste di plastica, quando possibile.
  • Adoperare le buste o sacchetti biodegradabili
  • Adoperare sacchetti di carta

3. Preferisci i prodotti sfusi

I prodotti sfusi sono un modo semplice ma efficace per ridurre il consumo di plastica. Invece di acquistare prodotti confezionati in plastica, è possibile acquistare prodotti sfusi come frutta, verdura, cereali, legumi, etc.

In molti supermercati e negozi di alimentari è possibile trovare prodotti sfusi, che possono essere conservati e trasportati direttamente all’interno di sacchetti di carta.

Per acquistare questi prodotti, è possibile anche decidere di portare con sé i propri contenitori riutilizzabili.

4. Riutilizza i contenitori di plastica

Invece di buttare i contenitori di plastica, è possibile riutilizzarli. I contenitori di plastica possono essere utilizzati per conservare gli alimenti, per riporre piccoli oggetti, etc.

Utilizzare più volte un contenitore significa evitare di produrne altri e dunque contribuire ad inquinare meno, per questo è importante.

5. Scegli prodotti con packaging ecosostenibile

Il 60% dei rifiuti prodotti ogni anno in Europa è dovuto al packaging, che spesso è superfluo o addirittura inutile.

Quando si acquistano dei prodotti, è possibile (o per meglio dire è giusto) scegliere quelli con packaging ecosostenibile. Il packaging ecosostenibile è realizzato con materiali riciclabili, biodegradabili o compostabili.

Nulla a che vedere con la plastica dunque, e si tratta tra l’altro di materiali che possono essere facilmente riutilizzati e riciclati.

6. Ricicla i rifiuti in plastica

Riciclare i rifiuti è un modo importante per ridurre l’inquinamento da plastica. Quando si riciclano i rifiuti in plastica, questi vengono trasformati in nuovi prodotti, riducendo la necessità di produrre nuova plastica.

Fai dunque sempre attenzione a differenziare correttamente i tuoi rifiuti e a riporre sempre nell’apposito contenitore qualsiasi rifiuto in plastica.

Conclusione

Riducendo il consumo di plastica in casa, possiamo fare la differenza per l’ambiente. Bastano piccoli cambiamenti nelle nostre abitudini quotidiane per contribuire a ridurre l’inquinamento dovuto alla plastica e a proteggere il nostro pianeta.

I vantaggi sono tangibili sia per noi che per le generazioni future, le quali potranno vivere in un mondo certamente più sano, salubre e “green”.

Sei pronto a fare la tua parte?

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Elettricità, quanto mi costi! L’Italia al sesto posto tra i paesi dove è più cara 

In Italia, il costo dell’elettricità per cucinare con un forno elettrico si attesta a 77 euro all’anno, cifra che rappresenta un aumento del 42% rispetto alla Svezia, del 63% rispetto alla Francia e addirittura del 107% rispetto agli spagnoli. La disparità è attribuibile alle tariffe energetiche, con l’Italia posizionata al sesto posto tra i paesi dell’Unione Europea per costi dell’energia elettrica nel primo semestre dell’anno, con una media di 0,378€/kWh.
Insomma, nel Belpaese la bolletta pesa quasi quanto che in nazioni considerate “care” come i Paesi Bassi, il Belgio e la Germania.

Frigorifero, lavastoviglie, lavapiatti: quanto incidono sul budget familiare? 

L’analisi di Facile.it ha rivelato che, a causa di queste tariffe elevate, gli italiani spendono di più per l’uso di elettrodomestici rispetto ad altri paesi europei. Ad esempio, per lavare 220 carichi di biancheria all’anno, gli italiani devono mettere in conto circa 111 euro, mentre i francesi solo 68 euro e gli spagnoli 53 euro.
Pure l’utilizzo del frigorifero rappresenta un costo maggiore in Italia, con una spesa annua di circa 193 euro, rispetto ai 126 euro degli irlandesi e ai 93 euro degli spagnoli.
La situazione si riflette anche nell’uso della lavastoviglie, dove gli italiani spendono 92 euro all’anno, superati solo dai Paesi Bassi con 116 euro. Tuttavia, ci sono paesi come Grecia, Francia, Spagna e Ungheria dove la bolletta è notevolmente inferiore.

Anche guardare la TV ha un costo maggiore in Italia 

Inoltre, gesti quotidiani come guardare la televisione o asciugarsi i capelli hanno costi differenti da un paese all’altro. Ad esempio, i 49 euro spesi dagli italiani per quattro ore di televisione al giorno si riducono a 32 euro in Irlanda.
Anche l’uso di un phon per cinque minuti al giorno ha costi variabili, con 23 euro in Italia, 14 euro in Francia e 7 euro in Ungheria.

In Ungheria si spende meno di un terzo che in Italia

Facendo riferimento al consumo medio di una famiglia italiana (2.700 kWh), le bollette dell’energia elettrica potrebbero ammontare a circa 1.021 euro in Italia nel 2023. In confronto, paesi come Germania e Paesi Bassi avrebbero bollette più elevate, mentre in Svezia, Irlanda, Grecia, Francia, Portogallo e Spagna i costi sarebbero notevolmente inferiori.
L’Ungheria spicca per le tariffe estremamente basse, con una spesa annua di soli 313 euro per una famiglia con consumi equivalenti. Insomma, in Italia la bolletta per l’energia elettrica si rivela veramente “pesante”, anche in confronto ai vicini europei.

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Nuova mod malevola di WhatsApp sferra più di 340.000 attacchi in un mese

Gli utenti ricorrono spesso a versioni modificate di terze parti delle app di messaggistica più diffuse per aggiungere ulteriori funzioni. Tuttavia, alcune di queste mod, pur migliorando le funzionalità, nascondono anche malware. Kaspersky ha identificato una nuova mod di WhatsApp che non solo offre funzionalità aggiuntive, come messaggi programmati e opzioni personalizzabili, ma contiene anche un modulo spyware dannoso.

Con una portata che ha superato le 340.000 unità neo solo mese di ottobre, questo malware colpisce a livello mondiale, in particolare, gli utenti di lingua araba e azera.
La minaccia è emersa recentemente, diventando attiva a metà agosto 2023.
La nuova versione dannosa di Whatsapp si sta diffondendo poi all’interno di un altro popolare servizio di messaggistica, Telegram.

Due componenti sospetti non presenti nella versione originale

Se da un lato la modifica ha lo scopo di migliorare l’esperienza dell’utente, dall’altro raccoglie illegalmente informazioni personali dalle vittime. 
Il file manifest del client WhatsApp modificato include infatti componenti sospetti, un servizio e un ricevitore di trasmissione, non presenti nella versione originale.

Il ricevitore avvia una funzionalità, lanciando il modulo spia quando il telefono è acceso o in carica. Una volta attivato, l’impianto dannoso invia una richiesta con informazioni sul dispositivo al server dell’aggressore. Questi dati comprendono l’IMEI, il numero di telefono, i codici del Paese e della rete e altro ancora.

La diffusione nei canali di Telegram

Ma l’impianto dannoso trasmette anche i contatti e i dettagli dell’account della vittima ogni cinque minuti, oltre a impostare registrazioni del microfono e esfiltrare i file da una memoria esterna.
Inoltre, la versione dannosa si è diffusa attraverso popolari canali Telegram, che in alcuni casi contano quasi due milioni di iscritti.

I ricercatori di Kaspersky hanno avvisato Telegram del problema.
Azerbaigian, Arabia Saudita, Yemen, Turchia ed Egitto hanno registrato il più alto numero di attacchi. E sebbene la maggior parte degli utenti sia di lingua araba e azera, il fenomeno interessa anche Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Germania e altri Paesi.

Il Trojan-Spy.AndroidOS.CanesSPy

“Le persone si fidano delle app provenienti da fonti molto seguite, ma i truffatori sfruttano proprio questa fiducia – commenta Dmitry Kalinin, Security Expert di Kaspersky -. La diffusione di mod dannose attraverso popolari piattaforme di terze parti evidenzia l’importanza di utilizzare client IM ufficiali. Tuttavia, se avete bisogno di alcune funzioni extra non presenti nel client originale, dovreste considerare l’impiego di una soluzione di sicurezza affidabile prima di installare software di terze parti, in modo da evitare la compromissione dei vostri dati. Per una protezione efficace, è consigliabile scaricare sempre le applicazioni da app store o siti Web ufficiali”.

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Gestione dei figli e della casa, c’è parità tra mamma e papà?

Nelle famiglie italiane, per i padri oggi non esistono più differenze di genere nella gestione della casa e dei figli. Di tutt’altro avviso, invece, le madri: in base alle opinioni femminili, il contributo maschile non supera il 30% nelle responsabilità domestiche e nell’assistenza ai figli. Queste visioni divergenti emergono dalla nuova edizione dell’osservatorio “Parents” di Eumetra, che ha coinvolto un campione di oltre 2.100 genitori in attesa del primo figlio e con figli di età compresa tra 0 e 11 anni.

Il 70% delle madri si occupa della casa

Il rapporto mette in luce come, ancora oggi, il 70% delle madri si occupi esclusivamente o principalmente delle attività quotidiane in casa e della cura dei figli. Questo dato è addirittura in crescita rispetto al 2018, quando il 66% delle madri aveva questa responsabilità.

Matteo Lucchi, amministratore delegato di Eumetra, commenta che nonostante i padri desiderino essere sempre più presenti e coinvolti nella vita famigliare, emergono differenze nella suddivisione dei compiti che sono ancora molto marcate e in alcuni casi addirittura crescenti. Ad esempio, mentre nel 2018 le decisioni importanti per i figli erano prese dalla madre nel 28% dei casi, oggi questa percentuale è salita al 46%.
La parità tra le mura domestiche sembra ancora essere lontana, e il coinvolgimento dei padri nella gestione della casa e nella cura dei figli non sembra ancora sufficiente a ridurre il peso del “carico mentale” che grava sulle spalle delle madri.

Mamme e papà diversi anche nelle scelte di acquisto 

Le differenze tra madri e padri emergono anche nella maggior parte delle scelte d’acquisto, ad eccezione delle vacanze e del tempo libero, dove le scelte sono condivise nel 75% delle famiglie.
Nelle altre categorie, le madri si sentono responsabili principali per l’acquisto di prodotti come allattamento/svezzamento, alimentazione, igiene e cura, farmaci e salute, puericultura leggera (ciucci e biberon), materiale scolastico e abbigliamento.

Matteo Lucchi aggiunge che anche in questo caso i padri dichiarano una forte condivisione delle scelte d’acquisto, indicando un desiderio di essere protagonisti nella vita quotidiana dei figli che non sempre si traduce in realtà. La condivisione delle scelte d’acquisto è invece più equa per passeggini e seggiolini, giochi e giocattoli, prodotti tecnologici e finanziari.

Il futuro fa paura a tutti

Il rapporto rivela che la stragrande maggioranza delle famiglie, soprattutto quelle con figli pre-adolescenti, è molto preoccupata per il proprio futuro, soprattutto in relazione alla situazione economica. Le madri sono più preoccupate dei padri, ma in miglioramento rispetto all’anno precedente. I principali motivi di preoccupazione riguardano l’incremento dei prezzi e il cambiamento climatico.
I genitori con figli tra i 7 e gli 11 anni, che sono particolarmente colpiti dall’aumento dei prezzi, sono i più preoccupati in questo contesto. Inoltre, cresce la preoccupazione per la perdita del posto di lavoro, con un aumento del 7-8% rispetto al 2022, sia tra le madri che tra i padri.

Consumi: nel 2022 spesa in ripresa, ma ferma in termini reali

L’anno passato la spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia è stimata dall’Istat in valori correnti a 2.625 euro, in aumento del +8,7% rispetto ai 2.415 euro del 2021.
Un incremento che però non corrisponde a un maggiore livello di spesa per consumi anche in termini reali.

Infatti, considerata la forte accelerazione dell’inflazione registrata nel 2022 (+8,7% la variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA), secondo l’Istat la spesa in termini reali sostanzialmente rimane inalterata.
Poiché la distribuzione dei consumi è asimmetrica, ed è più concentrata nei livelli medio-bassi della popolazione, la maggioranza delle famiglie spende un importo inferiore al valore medio.

Il 50% delle famiglie non ha speso più di 2.197 euro

Se si osserva il valore mediano, ovvero il livello di spesa per consumi che divide il numero di famiglie in due parti uguali, il 50% delle famiglie residenti in Italia ha speso nel 2022 una cifra non superiore a 2.197 euro (2.023 euro nel 2021).

Le famiglie hanno posto in essere strategie di risparmio per far fronte al forte aumento dei prezzi che ha caratterizzato il 2022, in parte grazie a quanto accumulato negli anni di crisi dovuta al Covid.
Nel 2020 e nel 2021, infatti, il tasso di risparmio lordo delle famiglie consumatrici è stato, rispettivamente, del 15,6% e del 13,2%, prima di ridiscendere ai livelli pre-Covid attestandosi attorno all’8%.

Vendita beni alimentari: aumenti in valore non in volume

In molti casi si è trattato anche di modificare le proprie scelte di acquisto, in particolare nel comparto alimentare. Il 29,5% delle famiglie intervistate nel 2022 dichiara, infatti, di aver provato a limitare, rispetto a un anno prima, la quantità e/o la qualità del cibo acquistato.

Un comportamento che trova conferma anche nei dati Istat sul commercio al dettaglio, che registrano in media, nel 2022, per la vendita di beni alimentari, un aumento tendenziale in valore (+4,6%), soprattutto nei discount, e una diminuzione in volume (-4,3%).

Cibi e bevande: prezzi a +9,3%

Più in dettaglio, nel 2022, a fronte del marcato incremento dei prezzi di beni alimentari e bevande analcoliche (+9,3% la variazione su base annua dell’IPCA), le spese delle famiglie per l’acquisto di questi prodotti sono cresciute del 3,3% rispetto all’anno precedente, pari a 482 euro mensili, il 18,4% della spesa totale.

Il 21,5% della spesa alimentare è destinato alla carne, il 15,7% a cereali e a prodotti a base di cereali, il 12,7% a ortaggi, tuberi e legumi, il 12,0% a latte, altri prodotti lattiero-caseari e uova, l’8,5% alla frutta e il 7,9% a pesce e frutti di mare.

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Stangata Rc auto: come risparmiare?

In un anno i premi medi delle Rc sono aumentati a doppia cifra, e hanno interessato tutta la penisola.
Da settembre 2022 a settembre 2023 il premio medio pagato dagli automobilisti italiani è infatti cresciuto del 27,9%, arrivando a 614,39 euro, ovvero, oltre 130 euro in più rispetto a 12 mesi fa.

La classifica delle regioni che hanno registrato gli incrementi maggiori è guidata dall’Umbria, dove lo scorso mese le tariffe sono salite mediamente del 37,9% rispetto all’anno precedente. Seguono Lazio, che ha segnato un aumento dei premi medi pari al 36%, e Sardegna (+34,4%). 
I dati emergono dall’analisi dell’Osservatorio di Facile.it su un campione di oltre 11 milioni di preventivi e relative quotazioni tra settembre 2022 e 2023.

Campania maglia nera dell’Rc

In valori assoluti non stupisce notare come la Campania indossi ancora una volta la maglia nera, dal momento che a settembre 2023 per assicurare un’auto nella regione occorrevano, in media, 1.062,49 euro, il 73% in più rispetto alla media nazionale.
Seppur a distanza, sul podio delle aree più costose seguono Calabria, con un premio medio di 673,07 euro, e Puglia (665,36 euro).

Sul versante opposto si posiziona il Friuli-Venezia Giulia, che anche quest’anno guadagna il primato di regione meno cara sul fronte Rc auto. Il mese scorso occorrevano infatti mediamente 415,92 euro per assicurare il proprio veicolo a quattro ruote.
Seguono Trentino-Alto Adige (443,88 euro), e Lombardia (474,38 euro).

Quando conviene cambiare compagnia

Secondo quanto registra invece l’Osservatorio assicurativo di Segugio.it il premio medio Rc auto a settembre 2023 ha raggiunto i 441,2 euro, e rispetto allo stesso mese del 2021 è in aumento su tutto il territorio.
Gli assicurati possono però controbilanciare l’incremento dei costi cambiando compagnia in seguito alla comparazione.
Segugio.it ha svolto un’analisi per valutare la riduzione media di prezzo qualora un cliente passi alla compagnia più conveniente partendo da quella attuale, nell’ipotesi prudenziale che quest’ultima sia la seconda in ordine di prezzo.

In questo modo i clienti potrebbero risparmiare in media il 29,2%, con picchi in Molise (40,5%), Calabria (39,3%) e Basilicata (38,3%).

Garanzie accessorie: l’assistenza stradale è la più scelta

Questo dimostra come la dispersione di prezzo, legata alla forte concorrenza fra compagnie, sia molto ampia e consenta significative opportunità di risparmio per i consumatori.
In ogni caso, tra le garanzie accessorie sottoscritte dagli guidatori italiani emerge come tra coloro che ne hanno inserita una in fase di preventivo, la più scelta sia stata ancora una volta l’assistenza stradale, selezionata dal 43,6% degli automobilisti.

Tra le coperture aggiuntive più richieste, seguono, seppure a grande distanza, la garanzia infortuni conducente (19,2%), la tutela legale (14,8%) e la copertura furto e incendio (10,6%).

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Grandi dimissioni e nomadismo digitale, perchè aumentano in Italia? 

Il mondo del lavoro non è più a misura di italiani. Lo rivela un recente studio condotto dall’Unicusano, che evidenzia come nell’ultimo anno ben il 90% degli italiani ha manifestato una profonda insoddisfazione per il proprio lavoro. Tanto che il 43% degli intervistati ha preso la decisione di abbandonarlo. Sorprendentemente, per il 97% di quanti hanno fatto questa scelta, non esisteva un “piano B”. La tendenza ha riguardato soprattutto le donne e i giovani sotto i 27 anni. Ben il 77% ha preferito rinunciare a contratti e carriere professionali a favore di una maggiore libertà personale.
Un altro dato allarmante emerso dallo studio dell’Unicusano riguarda il benessere psicoprofessionale dei lavoratori. Su 25 milioni di occupati nel 2022, in base ai dati Istat, solo l’11% è riuscito a raggiungere un equilibrio psicoprofessionale ideale. Si tratta di meno di tre milioni di persone.

Il principale accusato? Il burnout

Il principale fattore che ha gravato sulle spalle dei lavoratori, costringendoli a ripetute assenze, è stato il burnout, uno stato di esaurimento nervoso a livello fisico, mentale ed emotivo causato da diversi fattori legati al lavoro. Questo malessere ha colpito quasi il 50% degli italiani. Il fenomeno della “Great Resignation,” come è stato chiamato in America dopo la fine della pandemia, ha raggiunto anche l’Italia. Unicusano ha identificato diverse motivazioni alla base di questa tendenza, che vanno dall’insoddisfazione personale alla ricerca di condizioni economiche migliori, dalla desiderata flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro alla rottura dei rapporti interpersonali con i colleghi. In particolare, gli italiani stanno cercando un nuovo equilibrio tra vita privata e professionale, che oggi appare sbilanciato verso quest’ultima, a causa di una società che sembra essere diventata “iper-competitiva, iper-veloce e iper-digitalizzata”.

Quiet quitting e job creeper

In Italia, sono emersi anche altri fenomeni preoccupanti, come il “quiet quitting,” in cui oltre due milioni di lavoratori si limitano a svolgere il minimo indispensabile, non sentendosi valorizzati né emotivamente coinvolti nel loro lavoro. C’è anche il “job creeper,” che colpisce il 6% delle persone, le quali sono sopraffatte dal peso del lavoro fino al punto di fondere insieme sfera lavorativa e privata. A alimentare il fenomeno delle “Grandi Dimissioni” sono soprattutto i giovani tra i 24 e i 35 anni, noti come “flow generation.” 

I nomadi digitali

Questi giovani hanno un futuro incerto, sono lontani dal concetto di lavoro a tempo indeterminato e si dedicano a nuove professioni, con un’identità che muta in base alle sfide del futuro digitalizzato. Nati dalla crisi del 2008 e da un’economia basata sul consumo eccessivo, hanno abbracciato il nomadismo digitale come forma di espressione. Al giorno d’oggi, sono 35 milioni in tutto il mondo, con un valore economico di 787 miliardi di dollari. La pandemia ha tolto tempo, ma ha anche regalato tempo, e i nuovi nomadi digitali lo sanno bene. Questi individui hanno lottato negli ultimi tre anni per ottenere spazio e tempo per la loro vita, passioni, talenti, aspirazioni e affetti. Lavorano da remoto, ovunque nel mondo, e lo fanno con entusiasmo nell’85% dei casi. Rappresentano una risposta alla precarietà auto-imposta e una sfida che i reparti HR devono raccogliere per permettere a tutti di crescere, mettendo in primo piano ciò che davvero conta: le persone.

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